lunedì 19 novembre 2012

Crocifisso


"Che gran libro è il Crocifisso! E' maestro di tutte le virtù...Il Crocifisso è il libro più sapiente che tu possa leggere. Se tu conoscessi tutti gli altri libri, ma non conoscessi questo, rimarresti nell'ignoranza.
( Padre Francesco Bersini)

giovedì 21 ottobre 2010

LA VERA DEVOZIONE

Mia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perchè sai bene, come cristiano, quando questa virtù sia accetta a Dio; ma, siccome i piccoli errori commessi all'inizio di qualsiasi impresa, ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos'è la virtù della devozione.
Di vera ce n'è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante; e se non distingui la vera, sbagli e perdi tempo correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa.

Chi si consacra al digiuno, penserà di essere devoto perchè non mangia, mentre ha il cuore pieno di rancore; e mentre non bagna la lingua nel vino e neppure nell'acqua, per amore della sobrietà, non avrà alcun scrupolo nel tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la calunnia.
Un altro penserà di essere devoto perchè recita tutto il giorno una serie interminabile di preghiere, mentre non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose rivolte durante la giornata a domestici e vicini. Qualche altro farà l'elemosina ai poveri, ma non riuscirà a perdonare i nemici; ci sarà poi chi perdonerà i nemici, ma per pagare i debiti ci vorrà il tribunale.
Tutta questa brava gente, è considerata devota, ma non lo è per niente.

La vera e viva devozione,Filotea, vuole prima di tutto, l'amore di Dio; non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso.
Infatti, l'amore di Dio si chiama grazia perchè abbellisce l'anima e ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, perchè ci dà la forza di agire bene; ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza:ecco la devozione.

In breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto. E' compito della carità farci praticare i Comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità; la devozione vi aggiunge la prontezza e la diligenza.
Poiché la devozione è carità eccellente, non soltanto ci rende pronti, attivi e diligenti nell'osservare i Comandamenti di Dio, ma ci spinge a fare con prontezza e affetto le buone opere possibili, anche se non cadono sotto il precetto, ma sono soltanto consigliate o indicate.

Tratto da: FILOTEA di san Francesco di Sales

mercoledì 20 ottobre 2010

Come lo svegliarsi da un sogno

«Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur?» (Mt 16,26). O massima grande, che ha inviato tante anime in Cielo, e ha dato tanti Santi alla Chiesa! A che cosa serve guadagnarsi tutto il mondo che finisce e poi perdere l’anima che è eterna?
Mondo! E che cosa è questo mondo, se non un’apparenza, una scena di commedia, che presto passa? «Præterit figura huius mundi» (1Cor 7,31).
Viene la morte, si cala il panno, si chiude la scena, ed ecco è finita ogni cosa. Ahimé in punto di morte, al lume di quella candela, come compariranno ad un cristiano le cose del mondo? Quei vasi d’argento, quel denaro accumulato, quei mobili ricchi e vani, quando tutto deve lasciare?

Gesù mio, fate che l’anima mia da oggi in poi sia tutta vostra: fate che io non ami altri che voi. Voglio staccarmi da tutto, prima che me ne stacchi a forza la morte. Dice santa Teresa: «Non si deve tener conto di ciò che finisce». Procuriamoci dunque quella fortuna che non finisce col tempo.

A che cosa serve l’esser felice per pochi giorni (se mai potesse dirsi vera felicità, senza Dio), a chi poi dovesse essere infelice per sempre? Dice Davide che tutti i beni terreni in morte sembreranno come un sogno di chi si sveglia: «Velut somnium surgentium» (Sal 72,20). Che pena sente chi ha sognato d’esser fatto re e poi svegliandosi si ritrova povero qual era?

Mio Dio, chi sa se questa meditazione che leggo, è l’ultima chiamata per me? Datemi forza di togliere dal mio cuore tutti gli affetti di terra, prima che da questa terra io parta. E fatemi conoscere il gran torto che vi ho fatto nell’offendervi e nel lasciar voi per amor delle creature. «Pater non sum dignus vocari filius tuus» (Lc 15,21). Mi pento d’avervi voltato le spalle, non mi cacciate via ora che ritorno a voi.In punto di morte non consolano un cristiano gli offici decorosi esercitati, non le pompe, non le ricchezze, non i divertimenti presi, non i puntigli superati; lo consoleranno solo l’amore portato a Gesù Cristo e quel poco che ha patito per suo amore.

Filippo II morì dicendo: «Oh! Fossi stato laico d’una religione, e non già re!». Filippo III morendo diceva: «Oh! Fossi vissuto in un deserto, perché ora comparirei con più confidenza al tribunale di Dio!». Così parlano in morte quelli che sono stimati i più fortunati della terra. Insomma tutti gli acquisti delle cose terrene nell’ora della morte terminano con rimorsi di coscienza e terrori della dannazione eterna. “Oh Dio – dirà quella persona –, io ho avuto tanta luce per distaccarmi dal mondo, ma con tutto ciò ho seguito il mondo e le massime del mondo: ed ora quale sarà la sentenza che mi sarà data!”. Dirà: “Oh pazzo che sono stato! Potevo farmi santo con tanti mezzi e comodità che ho avuto! Potevo fare una vita felice unita con Dio: ed ora cosa mi trovo della vita fatta?”. Ma ciò quando lo dirà? Quando sta già per chiudersi la scena, per entrar nell’eternità, vicino a quel gran momento, da cui dipende l’esser beato o disperato per sempre.

Signore, abbiate pietà di me. Per il passato non vi ho saputo amare. Da oggi in poi voi sarete l’unico mio bene: «Deus meus et omnia!». Voi solo meritate tutto il mio amore, voi solo voglio amare. Oh, grandi del mondo, ora che state nell’inferno, cosa vi trovate delle ricchezze e dei vostri onori? Rispondono piangendo: “Niente, niente; altro non troviamo che tormenti e disperazione. Tutto è passato, ma la nostra pena non finirà mai”. [...]. In punto di morte è il tempo della verità: allora si riconoscono le cose di questa terra tutte per vanità, fumo, cenere, quali sono. O mio Dio, quante volte vi ho abbandonato per niente! Non avrei ardire di sperar perdono, se non sapessi che voi siete morto per perdonarmi. Ora vi amo sopra ogni cosa e stimo la vostra grazia più di tutti i regni del mondo.La morte si chiama ladro: «Dies illa tanquam fur» (1Ts 5,4). Perché ella ci spoglia di tutto: di cose, di bellezza, di dignità, di parenti, anche della nostra pelle. Il giorno della morte si chiama ancora il giorno delle perdite: «Dies perditionis» (Dt 32,35). Allora abbiamo da perdere tutti gli acquisti fatti e tutte le speranze di questo mondo.

Gesù mio, non mi preoccupo di perdere i beni della terra; basta che non perda voi, bene infinito

Scritto da Sant' Alfonso M. de Liguori
Brano tratto dal Settimanale di P. Pio

martedì 19 ottobre 2010

Amare, pregare, seguire


Amare il Signore non significa ardere di sentimento con il fuoco del momento, ma abbandono completo a Dio manifestando "l'obbedienza della fede" e prestando "il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà". Ce lo insegna con la sua stessa vita Maria.

Pregare il Signore non significa dare a Dio l'indicazione di cosa deve fare, ma rimettergli un problema perché lo risolva secondo la sua volontà. Ce lo insegna con la sua stessa vita Maria.

Seguire il Signore non significa ricordarlo e interpellarlo solo e quando ne abbiamo bisogno, ma significa rispondere con tutto il proprio " io" umano, maschile/femminile e risceglierlo giorno dopo giorno. Ce lo insegna con la sua stessa vita Maria.


Tratto dal catalogo dell'editrice SHALOM

lunedì 18 ottobre 2010

Come si fà il segno di Croce?


In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Cristo salva l'uomo mediante la Croce. Ne salva l'anima ed il corpo conquistandoli al male. L'uomo, che segna il proprio corpo con la Croce in riferimento alla Passione di Cristo, offre a Dio la propria vita (anche fisica).
Il Segno della Croce non si definisce, non si interpreta, non si studia, men che meno si discute. E' personale, ad esso non si aderisce, nè serve manifestar consenso. O si fa, o non si fa. E se si fa Satana non ha scampo. Cristo ha campo libero vince e ci salva.

Se puoi, presenta bene il tuo corpo, tieni eretto il busto, poni in vita la mano sinistra, manifestando attenzione e rispetto. Prepara la mano destra sulla sinistra tendendola bene ed allineando le dita. Porta la mano destra sulla fronte, poggiandovi al centro il dito medio, e nomina il Padre.
Stacca la mano destra dalla fronte e con essa, segna verticalmente il tuo corpo, attraverso il cuore, fino alla mano sinistra che hai in vita. Lì fermati e nomina il Figlio.
Mantieni ferma la mano sinistra, porta la destra sulla testa dell'omero sinistro, nomina lo Spirito Santo mentri segni orizzontalemente, sempre con la destra, il tuo corpo, attraverso il cuore, fino alla testa dell'omero destro.
Riporta la mano destra in vita sulla sinistra e proferisci la parola Amen.

Tratto dal sito ALMA PREX

venerdì 27 novembre 2009

Il nuovo blog

Cari amici, voglio farvi sapere che ho aperto un nuovo blog.
Nel nuovo blog si parlerà di spiritualità traendo i post dai vari scritti dei santi.
L'indirizzo del nuovo blog è:
ilpiccologregge.blogspot.com

La gioia cattolica

mercoledì 23 settembre 2009

IL VESCOVO E LA PREGHIERA

DISCORSO DEL SANTO PADRE
del 21 settembre 2009

Cari Fratelli nell’Episcopato!

Grazie di cuore per la vostra visita, in occasione del convegno promosso per i Vescovi che da poco hanno intrapreso il loro ministero pastorale.

Queste giornate di riflessione, di preghiera e di aggiornamento, sono davvero propizie per aiutarvi, cari Fratelli, a meglio familiarizzare con i compiti che siete chiamati ad assolvere come Pastori di comunità diocesane; sono anche giornate di amichevole convivenza che costituiscono una singolare esperienza di quella "collegialitas affectiva" che unisce tutti i Vescovi nell’unico corpo apostolico, insieme al Successore di Pietro, "perpetuo e visibile fondamento dell’unità" (Lumen gentium, 23).

Ringrazio il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, per le cortesi espressioni che mi ha rivolto a nome vostro; saluto il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ed esprimo la mia riconoscenza a quanti in vari modi collaborano all’organizzazione di questo annuale incontro.

Quest’anno, il vostro convegno si inserisce nel contesto dell’Anno Sacerdotale, indetto per il 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney. Come ho scritto nella Lettera inviata per l’occasione a tutti i sacerdoti, questo anno speciale "vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi".

L’imitazione di Gesù Buon Pastore è, per ogni sacerdote, la strada obbligata della propria santificazione e la condizione essenziale per esercitare responsabilmente il ministero pastorale. Se questo vale per i presbiteri, vale ancor più per noi, cari Fratelli Vescovi. Ed anzi, è importante non dimenticare che uno dei compiti essenziali del Vescovo è proprio quello di aiutare, con l’esempio e con il fraterno sostegno, i sacerdoti a seguire fedelmente la loro vocazione, e a lavorare con entusiasmo e amore nella vigna del Signore.

A questo proposito, nell’Esortazione postsinodale Pastores gregis, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II ebbe ad osservare che il gesto del sacerdote, quando pone le proprie mani nelle mani del Vescovo nel giorno dell’ordinazione presbiterale, impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il novello presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani (Cfr n.47).

A ben vedere questo è un compito solenne che si configura per il Vescovo come paterna responsabilità nel custodire e promuovere l’identità sacerdotale dei presbiteri affidati alle proprie cure pastorali, un’identità che vediamo oggi purtroppo messa a dura prova dalla crescente secolarizzazione.

Il Vescovo dunque – prosegue la Pastores gregis – "cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale ed economico" (Ibidem, 47).In modo speciale, il Vescovo è chiamato ad alimentare nei sacerdoti la vita spirituale, per favorire in essi l’armonia tra la preghiera e l’apostolato, guardando all’esempio di Gesù e degli Apostoli, che Egli chiamò innanzitutto perché "stessero con Lui" (Mc 3,14).

Condizione indispensabile perché produca frutti di bene è infatti che il sacerdote resti unito al Signore; sta qui il segreto della fecondità del suo ministero: soltanto se incorporato a Cristo, vera Vite, porta frutto.

La missione di un presbitero e, a maggior ragione, quella di un Vescovo, comporta oggi una mole di lavoro che tende ad assorbirlo continuamente e totalmente. Le difficoltà aumentano e le incombenze vanno moltiplicandosi, anche perché si è posti di fronte a realtà nuove e ad accresciute esigenze pastorali. Tuttavia, l’attenzione ai problemi di ogni giorno e le iniziative tese a condurre gli uomini sulla via di Dio non devono mai distrarci dall’unione intima e personale con Cristo.

L’essere a disposizione della gente non deve diminuire o offuscare la nostra disponibilità verso il Signore. Il tempo che il sacerdote e il Vescovo consacrano a Dio nella preghiera è sempre quello meglio impiegato, perché la preghiera è l’anima dell’attività pastorale, la "linfa" che ad essa infonde forza, è il sostegno nei momenti di incertezza e di scoraggiamento e la sorgente inesauribile di fervore missionario e di amore fraterno verso tutti.
Al centro della vita sacerdotale c’è l’Eucaristia. Nell’Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis ho sottolineato come "la Santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione" (n. 80). La celebrazione eucaristica illumini dunque tutta la vostra giornata e quella dei vostri sacerdoti, imprimendo la sua grazia e il suo influsso spirituale sui momenti tristi o gioiosi, agitati o riposanti, di azione o di contemplazione.

Un modo privilegiato di prolungare nella giornata la misteriosa azione santificante dell’Eucaristia è la devota recita della Liturgia delle Ore, come pure l’adorazione eucaristica, la lectio divina e la preghiera contemplativa del Rosario.

Il Santo Curato d’Ars ci insegna quanto siano preziose l’immedesimazione del sacerdote al Sacrificio eucaristico e l’educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione. Con la Parola e i Sacramenti – ho ricordato nella Lettera ai Sacerdoti – san Giovanni Maria Vianney ha edificato il suo popolo. Il Vicario Generale della diocesi di Belley, al momento della nomina a parroco di Ars, gli aveva detto: "Non c’è molto amore di Dio in quella parrocchia, ma voi ce lo metterete!". E quella parrocchia fu trasformata.

Cari Vescovi novelli, grazie per il servizio che rendete alla Chiesa con dedizione e amore. Vi saluto con affetto e vi assicuro il mio costante sostegno unito alla preghiera perché "andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16)
Per questo invoco l’intercessione di Maria Regina Apostolorum, ed imparto di cuore su voi, sui vostri sacerdoti e sulle vostre comunità diocesane una speciale Benedizione Apostolica.


© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana